I fatti e la vicenda giudiziaria
La vicenda trae avvio dalla comunicazione ai mercati, da parte degli allora Presidente del Consiglio di Amministrazione e Amministratore Delegato di Impregilo, di quelle che sono state considerate quali notizie false (riguardanti previsioni di bilancio e la solvibilità di una società controllata posta in liquidazione) e concretamente idonee a provocare un’alterazione sensibile del valore delle azioni della Società.
La contestazione mossa nei confronti di Impregilo riguardava, pertanto, l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-ter, lett. r) Decreto 231, dipendente dal reato di aggiotaggio di cui all’art. 2637 c.c., che in ipotesi accusatoria era stato commesso dai soggetti sopra indicati nel suo interesse e a suo vantaggio.
I.i Il giudizio di primo grado
Con sentenza del 17 novembre 2009, il GIP del Tribunale di Milano assolveva in rito abbreviato la Società, anche evidenziando come il modello di organizzazione, gestione e controllo adottato dalla stessa (il “Modello 231”) fosse adeguato ai sensi dell’art. 6 Decreto 231.
Secondo il GIP, il Modello 231 – redatto in conformità alle linee guida emanate in materia da Confindustria – prevedeva una serie di protocolli idonei a prevenire il reato contestato ai soggetti apicali e in particolare:
La Società, inoltre, aveva adottato un regolamento interno per la comunicazione all’esterno di documenti e informazioni “price sensitive”, che disciplinava i vari step del processo e riservava al Presidente del Consiglio di Amministrazione e all’Amministratore Delegato la divulgazione all’esterno di tali informazioni.
I.ii Il giudizio di secondo grado
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 21 marzo 2012, respingeva il gravame e confermava la decisione dei giudici di prime cure.
In particolare, la Corte d’Appello sottolineava come la commissione del reato non possa rappresentare di per sé la prova che il Modello 231 predisposto manchi della necessaria efficacia preventiva:
“[…] un modello [non può] ritenersi inefficace per il solo fatto che da parte dei responsabili della persona giuridica siano stati commessi degli illeciti […] Insomma, a fronte di un modello organizzativo, in sé corretto ed efficace in cui era previsto che gli uffici concorressero nella predisposizione di informazioni delicate, vi era stata un’elusione di detto modello da parte dei responsabili della società che non avevano seguito il corretto iter di formazione dei comunicati stampa […]”.
I.iii La prima pronuncia della Cassazione e il giudizio di rinvio
Con sentenza del 31 gennaio 2014, n. 4677, la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la decisione della Corte d’Appello del 2012, condividendo l’interpretazione sposata dalla pubblica accusa, che sosteneva l’inidoneità del Modello 231 predisposto dalla Società, ritenendo che l’efficacia dei meccanismi di controllo volti a prevenire i sopra citati reati sarebbe stata meramente apparente.
Per la Corte di Cassazione, la Corte di Appello di Milano, con la sentenza del 2012, “sembra accontentarsi del fatto che la bozza [di comunicato stampa] sia elaborata da un organo interno”, senza preoccuparsi dell’eventuale sussistenza di ulteriori presidi da attuarsi prima della sua definitiva diffusione al mercato (prerogativa quest’ultima riservata esclusivamente agli organi apicali).
Secondo l’interpretazione della Corte di Legittimità, “la natura fraudolenta della condotta del soggetto apicale (persona fisica) costituisce, per così dire, un indice rivelatore della validità del modello, nel senso che solo una condotta fraudolenta appare atta a forzarne le ‘misure di sicurezza’”.
Inoltre, per quanto riguarda l’attività di controllo ex D.Lgs. 231/2001, la Corte afferma che “se all’[OdV] non fosse nemmeno concesso di esprimere una dissenting opinion sul ‘prodotto finito’ [inteso quale il comunicato definitivo] (rendendo in tal modo, almeno manifesta, la sua contrarietà al contenuto della comunicazione in modo da mettere in allarme i destinatari) è evidente che il modello organizzativo non possa ritenersi atto a impedire la consumazione di un tipico reato di comunicazione, quale […] l’aggiotaggio”.
Tuttavia, all’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’Appello di Milano con sentenza del 10 dicembre 2014 confermava la decisione dei primi giudici di assolvere la Società dalla responsabilità ex D.Lgs. 231/2001.