Antitrust, distribuzione selettiva e piattaforme online: finalmente i chiarimenti della Corte di Giustizia

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È possibile nell’ambito di un sistema di distribuzione selettiva vietare ai rivenditori autorizzati l’utilizzo delle piattaforme online? A questa domanda nel recente passato hanno risposto in modo parzialmente difforme diverse autorità antitrust e giudici nazionali. Finalmente arriva l’attesa sentenza della Corte di Giustizia nel caso Coty, che afferma la validità del divieto di vendita tramite marketplace ma soltanto con riferimento ai prodotti di lusso.

La questione controversa

Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento dell’utilizzo dei sistemi di distribuzione selettiva che secondo la Commissione europea costituisce una reazione alla crescente diffusione dell’e-commerce(1). In tale contesto la regolazione delle vendite online rappresenta una questione di cruciale importanza per il produttore che in astratto può compiere diverse scelte.

La prima è un divieto assoluto per il rivenditore autorizzato di utilizzare il canale online. Tale opzione è già stata bocciata dalla Corte di Giustizia nel caso Pierre Fabre, in cui ha ritenuto che un simile divieto costituisce una restrizione per oggetto, con la precisazione che "l’obbiettivo di preservare l’immagine di prestigio non può rappresentare un obbiettivo legittimo per restringere la concorrenza e non può quindi giustificare che una clausola contrattuale diretta ad un simile obbiettivo non ricada nell’art. 101, n. 1, TFUE"(2).

All’estremo opposto, il produttore può richiedere ai propri distributori autorizzati soltanto il rispetto di determinati criteri qualitativi che secondo la Commissione debbono essere "nel complesso equivalenti a quelli imposti presso un punto di vendita non virtuale"(3). Sul punto la Commissione ha chiarito che "ciò non significa che i criteri imposti per le vendite on-line debbano essere identici a quelli imposti per le vendite off-line, ma piuttosto che dovrebbero perseguire gli stessi obiettivi ed ottenere risultati comparabili e che la differenza tra i criteri deve essere giustificata dalla natura diversa di questi due modi di distribuzione"(4).

Vi è poi una possibile soluzione intermedia su cui si è incentrato il dibattito negli ultimi anni, che consiste nel consentire ai rivenditori autorizzati di effettuare le vendite online attraverso il proprio sito internet che soddisfi i criteri qualitativi fissati dal produttore, contemporaneamente vietando l’utilizzo delle piattaforme dei terzi (i c.d. marketplace). Tale divieto può essere espresso e applicarsi indipendentemente dal soddisfacimento da parte del marketplace dei criteri qualitativi fissati dal produttore per il sito gestito dal rivenditore autorizzato. Alternativamente, il divieto può essere di fatto, attraverso l’imposizione di criteri che non possono essere soddisfatti da un marketplace, ad esempio "if the retailer's website has to appear under a domain name which contains the name of the retailer's business, if the website on which products are sold has to be operated by the retailer or in case of a prohibition to sell via marketplaces that have their logo visible"(5).

Questa è la questione affrontata dalla Corte di Giustizia nel caso Coty: se e in quali casi il produttore può impedire ai propri rivenditori autorizzati l’utilizzo dei marketplace.

I precedenti nazionali

Le autorità e i giudici nazionali hanno dato a tale questione soluzioni discordanti creando una notevole incertezza applicativa.

Il Bundeskartellamt – l’autorità antitrust tedesca – si è distinta per un approccio particolarmente restrittivo ritenendo il divieto di utilizzo dei marketplace una restrizione per oggetto vietata dall’art. 101(1), TFUE. La sua decisione nel caso Asics ben riassume le ragioni di coloro che ritengono l’illegittimità di tale divieto: "from the Bundeskartellamt’s point of view, it appears obvious that for many retailers, a per se prohibition of online marketplace in a selective distribution system leads to a major restriction on their possibility of making online sales to end customers. Online marketplaces such as Amazon or eBay are used by a very large number of customers and have a very wide reach. Thus, for small and medium-sized online shops in particular, presence in an online marketplace is decisive for customers being able to find them"(6).

Più recentemente, in data 13 settembre 2017, la Corte di Cassazione francese nel caso Caudalie ha annullato una decisione della Corte di Appello di Parigi che aveva qualificato il divieto imposto ai rivenditori autorizzati di utilizzo di siti internet di terzi come una "probabile" restrizione della concorrenza per oggetto. Accogliendo il ricorso proposto da Caudalie (un produttore di profumi e prodotti per la cura del corpo), la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte di Appello non avesse adeguatamente motivato il fatto che il divieto di utilizzo delle piattaforme di terzi dovesse ritenersi una violazione della concorrenza per oggetto(7).

Ultima decisione in ordine temporale è stata adottata dal Tribunale di Amsterdam il 4 ottobre 2017 nel caso Nike(8). La controversia riguardava la pretesa del rivenditore Action Sport di commercializzare i prodotti Nike sul marketplace di Amazon nonostante il divieto contrattuale di "display Nike Products for consumer sale within websites of other companies (which are not NEON authorised retailers)"(9). Il giudice olandese, basandosi interamente sull’opinione dell’Avvocato Generale Wahl resa nel caso Coty, ha ritenuto valida tale restrizione(10).

La decisione della Corte di Giustizia nel caso Coty

La decisione della Corte di Giustizia nel caso Coty risolve una serie di questioni pregiudiziali sottoposte dal Tribunale di Francoforte derivanti da una controversia tra Coty Germay (uno dei principali fornitori di prodotti cosmetici di lusso in Germania) e Parfümerie Akzente, uno dei suoi rivenditori autorizzati. In particolare, la disputa riguarda una modifica introdotta nel marzo 2012 da Coty Germany ai propri contratti secondo cui il "rivenditore è autorizzato a proporre e vendere i prodotti tramite Internet, ma unicamente a condizione che tale attività di vendita on-line sia realizzata tramite una vetrina elettronica del negozio autorizzato e che venga in tal modo preservata la connotazione lussuosa dei prodotti". Inoltre, tale accordo aggiuntivo vieta espressamente l’utilizzo di un’altra denominazione commerciale nonché l’intervento visibile di un’impresa terza che non sia un rivenditore autorizzato di Coty Prestige. In nota a tale clausola, viene precisato che "[a]nalogamente, al rivenditore è fatto divieto di avviare una collaborazione con terzi se essa è diretta alla gestione di un sito Internet ed è visibile all’esterno". Parfümerie Akzente aveva contestato la validità di tale accordo aggiuntivo che le vietava di distribuire i prodotti del marchio controverso attraverso la piattaforma "amazon.de".

Con la prima questione pregiudiziale si chiedeva se i sistemi di distribuzione selettiva diretti alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e finalizzati primariamente a garantirne un’immagine di lusso costituisca un elemento di concorrenza compatibile con l’articolo 101(1), TFUE. La necessità di avere chiarimenti su tale questione nasceva dalla "confusione" determinata dall’affermazione nel caso Pierre Fabre secondo cui "l’obbiettivo di preservare l’immagine di prestigio non può rappresentare un obbiettivo legittimo per restringere la concorrenza"(11).

Sul punto la Corte di Giustizia ha ribadito che un sistema di distribuzione selettiva che ha quale primario obbiettivo la tutela dell’immagine di lusso dei prodotti non ricade nel divieto di cui all’art. 101(1)1, TFUE allorché siano rispettate tre condizioni (già note come i "criteri Metro"). In primo luogo, deve essere accertato che le caratteristiche dei prodotti in questione richiedano un sistema di distribuzione selettiva, nel senso che tale sistema costituisce un’esigenza legittima, in relazione alla natura dei prodotti considerati. In secondo luogo, è necessario che la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi di carattere qualitativo, stabiliti indistintamente per tutti i rivenditori potenziali e applicati in modo non discriminatorio. In terzo luogo, occorre che i criteri definiti non vadano oltre i limiti del necessario.

La Corte di Giustizia ha poi chiarito che l’inciso relativo al caso Pierre Fabre deve essere letto nel contesto di quella decisione in cui i prodotti in questione non erano di lusso ed in tale contesto la Corte di Giustizia aveva inteso fornire un elemento interpretativo che consentisse al giudice nazionale di valutare se la restrizione della concorrenza derivante dalla clausola oggetto fosse giustificabile e proporzionata.

Con la seconda questione, il giudice tedesco ha chiesto se fosse compatibile con l’articolo 101(1), TFUE il divieto generale imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva di servirsi per le vendite online di marketplace senza che rilevi il soddisfacimento da parte del marketplace dei requisiti di qualità richiesti dal produttore ai propri rivenditori autorizzati.

La Corte di Giustizia ha risposto in modo affermativo ritenendo che tale divieto sia funzionale alla preservazione dell’immagine di lusso in quanto garantisce che i prodotti siano esclusivamente associati con i distributori autorizzati. Inoltre, la Corte di Giustizia ha rilevato che tale divieto è altresì necessario in quanto consente al produttore una verifica del rispetto dei criteri qualitativi, cosa che non sarebbe possibile nei confronti del gestore di un marketplace in quanto terzo rispetto al rapporto contrattuale tra produttore e distributore autorizzato. Ancora, la Corte di Giustizia ha rilevato che sui marketplace vengono commercializzati i prodotti di qualsivoglia natura e ciò di per sé può pregiudicare l’immagine di lusso. Infine, la Corte di Giustizia ha rilevato che, a differenza di Pierre Fabbre, nel caso di specie Coty Germany non aveva imposto un divieto assoluto alle vendite online, ma soltanto una limitazione che sulla base di quanto sopra è da ritenersi proporzionata e peraltro di poco impatto se – come notato dalla Commissione Europea sull’indagine settoriale sul commercio elettronico soltanto - il 90% dei prodotti vengono commercializzati attraverso i siti internet dei rivenditori.

Infine, con le ultime due questioni pregiudiziali il giudice tedesco ha chiesto se il divieto dell’utilizzo di marketplace imposto da Coty sia da considerarsi una restrizione fondamentale ai sensi dell’art. 4, lett. b) e c) del Regolamento (UE) 330/2010. Secondo tali disposizioni, sono considerati restrizioni fondamentali e quindi escluse dal beneficio dell’esenzione generale dal divieto delle intese restrittive della concorrenza (i) il divieto assoluto imposto al rivenditore di vendere in alcuni territori o a determinati gruppi di cliente, ovvero (ii) la restrizione delle vendite attive o passive ai clienti finali imposte al rivenditore parte di un sistema di distribuzione selettiva.

Ancora una volta la Corte di Giustizia prende le parti di Coty Germany, rilevando che il produttore non ha imposto un divieto assoluto di vendite online, e che la restrizione in esame non aveva impedito ai distributori autorizzati di collaborare con terzi a fini pubblicitari su Internet. Conseguentemente, i potenziali clienti sono stati sempre in grado di accedere, tramite Internet, all’offerta dei distributori autorizzati utilizzando ad esempio motori di ricerca.

Conclusioni

La decisione della Corte di Giustizia ha certamente contribuito ad aumentare il grado di certezza su una questione di crescente importanza in considerazione della continua espansione dei marketplace. Il caso però non è chiuso: nell’iter argomentativo della Corte di Giustizia assume un rilievo fondamentale la natura di prodotti di lusso commercializzati da Coty Germany. Rimane incerta la liceità di clausole che limitino l’accesso ai marketplace imposte dai produttori di marca (ma non di lusso), incertezza che in taluni casi aumenta ulteriormente allorché bisogna decidere se un prodotto possa essere considerato "di lusso".

Con riguardo a tale profilo va peraltro considerato che le controversie relative alla validità di clausole di divieto dell’utilizzo di marketplace da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva sono il più delle volte devolute ai giudici nazionali e ciò aumenta la possibilità di decisioni difformi anche in considerazione delle differenze tra i vari mercati nazionali anche con specifico riferimento all’utilizzo dei marketplace rilevate dalla Commissione Europea nell’indagine conoscitiva sull’e-commerce. L’impatto sulla possibilità per i produttori di implementare politiche commerciali coerenti ed efficaci non è di poco conto se si considera che è sufficiente una decisione di invalidità di un singolo giudice nazionale perché il giorno dopo i prodotti siano disponibili sui marketplace che per loro natura sono accessibili da ovunque.

Quello che rimane è comunque l’importante statuizione di portata generale della Commissione Europea contenuta nella Relazione finale sull’indagine settoriale sul commercio elettronico secondo cui i divieti assoluti di vendita tramite markeplace non sono restrizioni fondamentali ai sensi del Regolamento (UE) 330/2010 e che l’esenzione generale (se e in quanto applicabile in considerazione delle quote di mercato delle parti) può essere revocata "in casi particolari e se la situazione di mercato lo giustifica".

_____________

(1) Nello Staff Working Document che accompagna la Relazione finale sull’indagine settoriale sul commercio elettronico (Staff Working Document), la Commissione ha rilevato che "In the last 10 years, as a reaction to the growth of e-commerce, 19 % of respondent manufacturers introduced selective distribution systems for the first time and 67 % of the respondent manufacturers that already used selective distribution introduced new selection criteria" (par. 970).

(2) Corte di Giustizia, 13 ottobre 201, caso C-439/09 – Pierre Fabre Dermo-Cosmétique, par. 46.

(3) Commissione Europea – Orientamenti sulle restrizioni verticali (2010/C 130/01) (Orientamenti sulle Restrizioni Verticali), par. 56.

(4) Orientamenti sulle Restrizioni Verticali (2010/C 130/01), par. 56.

(5) Staff Working Document, par. 467.

(6) Un riassunto della decisione in inglese redatta da Bundeskartellamt è scaricabile attraverso il seguente link https://www.bundeskartellamt.de/SharedDocs/Entscheidung/EN/Fallberichte/Kartellverbot/2016/B2-98-11.pdf?__blob=publicationFile&v=2.. Tale decisione riflette la precedente decisione resa nel caso Adidas, in cui il Bundeskartellamt aveva affermato che "a per se ban on sales via online marketplaces is not a qualitative criterion which is necessary to ensure the quality of the products concerned and the quality of their distribution" (il riassunto della decisione è disponibile attraverso il seguente link http://www.bundeskartellamt.de/SharedDocs/Entscheidung/EN/Fallberichte/Kartellverbot/2014/B3-137-12.pdf?__blob=publicationFile&v=2.

(7) La decisione della Corte di Cassazione francese è disponibile al seguente link https://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriJudi.do?oldAction=rechJuriJudi&idTexte=JURITEXT000035573298&fastReqId=1430212509&fastPos=1.

(8) La decisione del Tribunale di Amsterdam è disponibile al seguente link https://uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:RBAMS:2017:7282.

(9) Singolare la decisione del giudice olandese di pubblicare ampi stralci della Selective Distribution Policy di Nike nonostante ai sensi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dovrebbe essere considerata un segreto commerciale; v. Corte di Giustizia, 14 giugno 2012, caso C-158/11 Auto24, par. 31.

(10) In un obiter il giudice olandese affronta un altro tema di grande interesse: il diritto di accesso alla rete di autorizzati da parte del rivenditore che soddisfa i criteri decisi dal produttore. La risposta del giudice olandese è che nel caso Amazon ne facesse richiesta e assumendo che il suo marketplace soddisfi i criteri qualitativi, Nike sarebbe obbligata ad ammetterla nel proprio sistema di distribuzione selettiva.

(11) Tale affermazione è stata da ultimo ribadita dal Tribunale UE nel caso CEAHR T-712/14 del 23 ottobre 2017, in cui afferma: "It nevertheless follows from that judgment that, although preserving a brand image cannot justify a restriction of competition by the establishment of a selective repair system, the objective of preserving the quality of products and ensuring their proper use may, in itself, justify such a restriction" (par. 66)

 

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